Il mondo dell’arte sta cambiando. Nuovi processi, nuove idee e nuove prospettive hanno completamente ridisegnato il ruolo delle persone che dedicano la loro vita all’espressione artistica e all’interazione con essa in generale. Un sintomo, questo, reso evidente e tangibile dai diversi ruoli che si stanno delineando nel panorama contemporaneo, nati da una riflessione profonda sul senso della propria professione e sul ruolo che essa ricopre nella società. Questa la riflessione sfiorata a più riprese nella serata di giovedì 24 ottobre, in occasione del quinto appuntamento della rassegna GENERalmente organizzato in collaborazione con la galleria d’arte Cellar Contermporary la quale, grazie all’intercessione di Jacopo Gennari, ha condiviso con la comunità i punti di vista della curatrice Camilla Nacci e dell’artista visiva Margherita Paoletti. Un salotto, nel vero senso della parola, che ha consentito alla moderatrice Gabriela Mateas di fare emergere elementi intimi dell’esperienza delle due donne e dei ruoli che ricoprono nel contemporaneo, primo tra tutti il concetto di cura e curatela.
In pochi forse sanno che il mondo dell’arte ha recentemente allontanato le figure dei critici a favore di una conversazione più libera da punti di vista esclusivi. Tale assenza ha consentito alle curatrici e ai curatori di scavare più a fondo nella loro esperienza quotidiana, scoprendosi prima di tutto come punti di riferimento nella crescita e nel percorso degli artisti. In questo senso, ha spiegato la Nacci, la cura diventa un elemento costante del rapporto che si genera tra galleria e artista, rapporto che va oltre la normale attenzione per scadenze e dettagli e scivola nella nascita di una connessione tra persone: un vero percorso di vita e professione. La testimonianza diretta, in questo senso, è stata restituita nell’immediato da Margherita Paoletti, la quale ha confermato e rafforzato la rilevanza del rapporto di cura che unisce lei e Camilla. Una cura dal sapore femminile, che forse sta emergendo nel mondo dell’arte proprio grazie alla crescente partecipazione del genere nel contesto contemporaneo.
Cura non è solo nel rapporto tra galleria e artista: l’arte stessa, spiega la Paoletti, è prima di tutto un mezzo per curare sé stessi da dolori tangibili, concreti, come quelli causati da una malattia cronica. L’esperienza di Margherita con l’endometriosi l’ha portata a compiere un lavoro intenso sulla propria persona, così come sulla propria arte, rivelando opportunità che hanno consentito un approccio diverso ad una condizione che, purtroppo, può spesso determinare solitudine ed isolamento: “La malattia, la mia come altre, ti rende immobile. Impedisce fisicamente e mentalmente ogni azione e limita il tuo potenziale. Il gesto artistico, invece, genera movimento ed incanala energia, modellandola in forme nuove e in narrative inaspettate. In questo senso, l’arte diventa uno strumento potente per esternare il proprio dolore ed osservarlo sotto una luce nuova, unica”.
In un mondo che sta cominciando solo ora a scoprire i lati più personali dell’essere umano e dell’essere umani, curatela e cura diventano veicoli di messaggi potenti e d’amore per sé stessi, a testimonianza che il tempo e l’ascolto possono davvero produrre arte ed educarci al bello, ogni giorno.